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13.03.02 Chip nel corpo, body art post-telematica.
Cinque anni dopo il clamore sviluppato dal professor Eduardo Kac, che si fece inserire un microchip nella caviglia, durante una performance dal vivo a San Paolo (Brasile), un'altra artista ha deciso di mettere in discussione il confine fra organico e inorganico, riattualizzando le paure ancestrali del cyborg. La trentaquattrenne canadese Nancy Nisbet, infatti, si è fatta impiantare un 'biochip' nelle mani (per la precisione nella parte carnosa fra il pollice e l'indice) in una clinica veterinaria, nonostante la legge non lo permetta nel suo paese, nè negli Stati Uniti. Partendo dalla considerazione che la fusione fra uomini e macchine procederà che lo si voglia o no, il suo fine è meglio comprendere i pericoli e benefici che essa rappresenta. Il chip usato emette una frequenza di 134-kilohertz, che può essere letta da uno scanner capace di decodificare l'ID di dodici cifre alfanumeriche. Nei progetti della Nisbet c'è quello di modificare il mouse del suo computer incorporandoci uno scanner che possa monitorare il suo uso di internet. Oltre a questo una webcam e un sistema GPS tracciano i suoi movimenti fisici. La scelta delle mani poi, non è casuale, visto che spesso sono usate per tracciare la nostra identità, nelle impronte digitali ad esempio, e il punto in cui sono impiantati i chip è descritto nella bibbia come quello in cui verrà apposto il 'marchio della bestia' durante la fine del mondo. Ovviamente l'unico uso improprio del mezzo è una possibile inoculazione obbligatoria, e l'artista vuole porre all'attenzione pubblica questioni di identità e controllo, appropriandosi di questa tecnologia coscientemente, scoprendone limiti e malfunzionamenti, e potendo decidere quale informazione viene trasmessa e usata.