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.hacktivism 19.11.04 Evidence Locker, decodifica aberrante del controllo. Commissionata dalla Biennale Internazionale di Liverpool 2004 ed esibita presso il FACT Centre e la Tate di Liverpool, Evidence Locker è un'installazione su supporto DVD realizzata dall'artista di origine statunitense Jill Magid, la quale si è servita delle 242 telecamere a circuito chiuso presenti a Liverpool, per creare un filmato che fosse sia un diario personale, sia un ritratto della città stessa. Indossando infatti un trench e degli stivali rossi molto vistosi, e facendo lunghe passeggiate, l'artista ha vissuto a Liverpool trentuno giorni, esattamente lo stesso periodo di tempo che trascorre prima che le registrazioni archiviate dalla polizia vengano cancellate, a meno di non richiederle indietro in visione, come ha fatto appunto Jill Magid. L'installazione consiste di due parti: innanzitutto, presso la Retrieval Room del FACT, l'opera è presentata secondo la forma di riflessioni e di descrizioni profondamente romantiche e intimistiche, e, come se si trattasse di un video diario personale, Jill Magid ha mostrato se stessa in spazi fuori dalla portata delle telecamere. L'altra parte dell'installazione è rappresentata da Evidence Locker, esibita presso la Tate di Liverpool, ed è un video inerente alle passeggiate dell'artista riprese dalle telecamere a circuito chiuso. Attraverso questo lavoro, che richiama alla mente la performance del gruppo newyorkese Surveillance Camera Players, Jill Magid, anziché mostrare i cittadini come vittime del Grande Fratello, mette in atto una sorta di gioco di seduzione nei confronti delle telecamere di sorveglianza, creando un inedito punto di vista dell'attivismo artistico, con connotazioni fortemente femminili, e andando a scandagliare il possibile dualismo tra intimità e sicurezza. Jill Magid, in un altro recente lavoro realizzato ad Amsterdam, ha altresì voluto giocare con l'idea di visibile-invisibile, decorando con degli strass le telecamere di sicurezza e inventando ad hoc, per reclamizzarle e venderle come prodotti comuni, un'ironica pubblicità che ricorda le opere di James Rosenquist degli anni Sessanta. Indubbiamente, fin dalla metà dell'Ottocento, l'invenzione e l'introduzione sempre più capillare nella società di nuovi elementi tecnologici, ha visto "l'inizio di una restaurazione (anche se con un grado di centralizzazione sempre più elevato) del controllo economico e politico su quegli ambiti periferici della società che, durante la rivoluzione industriale, vi si erano sottratti" (Beninger), per cui, se da una parte l'unico messaggio che attualmente può arrivare ad un cittadino attraverso le telecamere è quello di una minuziosa volontà di controllo, dall'altra Jill Magid, per mezzo della propria installazione, arriva a modificare volutamente il messaggio inviato delle telecamere stesse, rivendicando il diritto dell'individuo a rimanere opaco e mettendo in atto una consapevole "decodifica aberrante" (Eco), per cui l'errata interpretazione del codice comunicativo vanifica la trasmissione del messaggio; attraverso l'ironia, si arriva allo spostamento del ruolo passivo del cittadino, destinato finora a essere controllato, e, in ultima analisi, alla contestazione ideologica, gesto che, fatte le dovute proporzioni, si ricollega agli slogan degli hippies sui fiori nei cannoni. |