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20.02.02 Net art nella collezione del Guggenheim.
Il Solomon R. Guggenheim Museum ha acquisito nella sua collezione permanente i due lavori di net art che aveva commissionato per l'inizio di quest'anno. Si tratta di 'Unfolding Object' di John F. Simon Jr (nell'immagine), e 'net.flag' di Mark Napier. La prima consiste in un quadrato che svolge le sue altre facce stimolato dai click dell'utente, verificando se si vuol seguire il percorso fatto dagli utenti precedenti o inaugurare il proprio in una classica metafora della creatività. In net.flag, invece, Napier permette di stravolgere i simboli nazionalistici delle rispettive bandiere consentendo di cambiarne i colori e quindi mettere in crisi l'indentità di territorio che nella rete cambia connotati. Secondo Jon Ippolito, l'associate curator per le media arts dell'istituzione, per queste acquisizioni "l'obiettivo è sia quello di dimostrare la nostra convinzione che queste forme d'espressione debbano essere salvaguardate, sia che esiste un metodo per farlo." E anche Steve Dietz, curatore dei nuovi media per il Walker Art Center in Minneapolis concorda "Ciò che il Guggenheim sta facendo è ciò che ogni istituzione d'arte contemporanea dovrebbe fare, e cioè trattare la net art come ogni altro fenomeno artistico contemporaneo della sua collezione." Ma come viene conservato il codice? Per ogni opera vengono pagati dal 10.000 ai 15.000 dollari e in cambio il codice viene concesso affinchè sia esibito in maniera esclusiva. Dubbi a parte su quest'ultima condizione, il Guggenheim ha stanziato un fondo di preservazione, il Variable Media Endowment per tutelare le opere che cadono in obsolescenza tecnica. Altra questione è il loro funzionamento, visto che esse hanno senso grazie agli input degli utenti, per cui ce ne sono tre copie che girano in diverse città contemporaneamente. Lo stesso Ippolito comunque ha ammesso che il prezzo che viene pagato va in effetti a sostenere il lavoro dell'artista, più che a pagare l'artefatto, che però in questa maniera viene costantemente 'tenuto in vita', rendendo il museo come l'archivio storico del proprio lavoro, ossia quello che già si fa per le altre opere d'arte.