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PostSecret, Frank da Germantown
23.06.05
PostSecret, anonime confessioni collettive.
Esiste uno spazio sul web per confessare il mai detto: che si tratti di un rimpianto, di una speranza, di un desiderio o di una paura, PostSecret accoglie qualsiasi contributo purché sia genuino e non ancora rivelato. Gli utenti sono invitati realizzare degli artwork a soggetto in formato cartolina e a spedirli via posta tradizionale al webmaster, Frank da Germantown (Md), che ogni domenica aggiorna il sito. Le uniche condizioni di accesso sono di essere "brief, legible and creative". Nell'accezione più comune il web log (blog) è un sorta di diario intimo aperto al pubblico intorno al quale si crea un network comunicazionale, una community di individui che imparano a conoscersi attraverso post e link. Il sistema weblog ha una sua capacità di moderazione collaborativa grazie alla quale un atteggiamento considerato sbagliato, non tanto in senso etico quanto sociale, viene rilevato, rimarcato ed esposto al giudizio pubblico. Nel caso del confessionale PostSecret il principio che vige è il contrario: sono proprio i pensieri più riprovevoli a fungere da collante della comunità, che prolifera grazie a un imponente word-of-mouth. Come in un cluster di weblog attestati su temi autobiografici e interpersonali, anche qui l'elemento dominante è la partecipazione umana, la solidarietà, il syn-pathos. Viene naturale, tuttavia, domandarsi che ruolo giochi il narcisismo nella pubblica condivisione dei propri segreti. Secondo De Kerckhove "non si tratta di un'esibizione dell'io, ma piuttosto del rapporto con gli altri". E indubbio che in ogni post, per quanto sincero, sia connaturato un esercizio di stile. Nelle cartoline del PostSecret infatti c'è una solida matrice artistica, come nota Sarah Boxer, tanto che le più recenti ricordano i lavori di Barbara Kruger, Sophie Calle o Damien Hirst esposti in una sorta di galleria d'arte collettiva, una Tate Modern virtuale (non si dimentichi, a questo proposito, che il confessore chiede le royalties di sfruttamento dei materiali). 'Secret for fake' dunque? L'anonimato sotto il quale si spediscono i propri artwork scongiura questa ipotesi, ma l'esigenza di esprimere in forma creativa i pensieri più profondi è vecchia quanto l'arte.
Valentina Culatti