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Soft Rains, Jennifer McCoy, Kevin McCoy
24.03.05
Soft Rains, piattaforme d'immaginario filmico.
Le tecnologie digitali industriali puntano a un cinema inteso come spazio virtuale d'immersione in cui lo spettatore inter/agisce ora come operatore di ripresa, ora come editor. Nulla di virtuale hanno invece i set cinematografici realizzati in miniatura da Jennifer e Kevin McCoy per l'installazione Soft Rains, esposta alla Postmaster Gallery di New York. Ognuna di queste sette piattaforme, infatti, ricostruisce in dettaglio uno spazio noto nell'immaginario filmico, dalla tipica casa americana al loft di un artista, dal grande albergo al night club, nel quale sono staticamente collocati personaggi giocattolo che fungono da attori della storia. Il plot esiste e la protagonista, casalinga dal vestito rosso, si 'muove' da un genere/set cinematografico all'altro passando per il melò anni cinquanta, il film d'arte dei sessanta, il noir e l'action movie. Tutte queste situazioni sono presenti contemporaneamente e vengono riprese in maniera simultanea da più di 50 videocamere miniaturizzate, bracci gigeriani sospesi a scrutare ogni angolo con i loro occhi terminali. Le immagini catturate vengono inviate a un computer che attraverso un software personalizzato edita i sette film proiettati su schermi adiacenti. Forse è in questa fase che meglio si rintracciano le caratteristiche della ricerca applicata al "future cinema", ossia l'evoluzione del linguaggio filmico ottenuta attraverso le randomiche sinapsi del computer. Si pensi ad esempio agli studi condotti dall'Interactive Cinema Group del MIT sulla narrativa metalineare o alle vie percorse dal Media Lab Europe sul Live Cinema. Gli stessi McCoys in lavori precedenti come Airworld si sono concentrati sull'esplorazione della narratività ottenuta attraverso la messa in sequenza dinamica di elementi base non precedentemente editati, senza inizio e senza fine, privi di uno sviluppo tematico. L'originalità di Soft Rains consiste invece nel riproporre i temi cardine delle teorie del cinema, dalla questione del punto di vista a quella relativa ai generi, dal metacinema alla visione del dispositivo, attualizzandola attraverso un'installazione elettronica che esamina gli spazi narrativi. Questi esistono, sono i microset, ma ogni volta cambiano a seconda della ripresa, dell'occhio che li guarda e non sono chiusi da pareti in maniera tale da rendere visibile solo il profilmico, ma si aprono all'ambiente che li circonda, alla galleria che li contiene, tanto che le videocamere riprendono i visitatori, spett/attori che si rivedono sugli schermi di proiezione dei film montati. Quello dei McCoys è in sostanza un tentativo, più o meno riuscito, di storytelling che combini l'improvvisazione con il predefinito, lo spazio immobile e il fluire del tempo, in un ossimoro ben riassunto nel titolo Soft Rains.
Valentina Culatti