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Sonar 2006
06.07.06
Sonar 2006, l'evoluzione dei suoni.

Guarda le foto di Sonar 2006.

L'edizione 2006 del Sònar, ora rinominato festival internazionale di musica elettronica ed arte multimediale ha ancora una volta aperto il suo flusso di sonorità, coinvolgendo senza sosta alcuna un vastissimo pubblico in molteplici spazi ulteriormente divisi in più sezioni e separati a grandi linee fra eventi diurni e notturni. Una compartimentazione necessaria vista la crescita esponenziale della manifestazione negli anni, obbligata dalle dimensioni raggiunte, che causano un assedio colorato e pacifico certo però non privo di disagi per tutto un quartiere metropolitano. Il programma è stato così ricco d'appuntamenti da richiedere il dono dell'ubiquità e le performance numerose e dislocate, spesso anche in luoghi esterni, hanno obbligato gioco-forza i partecipanti ad un felice nomadismo fra una zona e l'altra, divertente per moltissimi ma certo poco funzionale nel favorire opportunità di contatto fra gli addetti ai lavori. Il numero e la varietà delle proposte, anche ad un livello più prettamente musicale, ha acuito la percezione d'estrema contaminazione, confermando l'idea d'una transizione in atto dei generi musicali che ammicca propositiva al moltiplicarsi delle possibilità e a svariate altre derive sonore. Se il minimalismo una volta più estremo e rarefatto di Alva Noto incontra adesso l'art-pop melodico di Sakamoto (e l'elettronica da sola non basta a far quadrare i conti) ecco affacciarsi anche il rock, mutuato da influenze club (ad esempio negli Infadels), mentre l'house slitta verso dimensioni più stilizzate e d'atmosfera (come nel caso dei Pigna People). Non è da meno certa deep-electro teutonica che per artisti del calibro di Modeselektor s'innesta di nuove sequenze ritmiche ed addirittura di pulsioni ghetto-style. Anche la black music è stata sicuramente in evidenza, fra hip hop ed abstract beatz (presenti Nightmare On Wax, Digable Planets, One Self, Afra & Incredibile Beatbox Band), nomi benedetti dalla presenza in cartellone dei veterani Nile Rodgers e Chic che riescono dopo trent'anni a tenere ottimamente il palco con un energia che suscita invidia anche nelle nuove leve. Sul versante legato alle sperimentazioni video (meno abusate nei dj set rispetto agli anni scorsi) sono emersi i progetti di V-Scratch, visualizzazione in tempo reale dello scratching, il Tenorion di Toshio Iwai e le eccezionali soluzioni data-driven di Ryoji Ikeda. Naturalmente per le masse votate alla dance è stata la notte a scandire i ritmi, fluttuando fra le acide evoluzioni di Otto Von Schirach (che manipolava i dischi vestito come uno dei protagonisti da incubo di Arancia Meccanica), seguendo il continuum di Jeff Mills, oppure con Miss Kittin, Sasha, Tiga, Richie Hawtin, Riccardo Villalobos e infine la techno scandita e ridondante del barone rosso Dave Clarke. Il successo di pubblico del Sonar è fuori discussione, soprattutto se comparato alle altre manifestazioni del genere, ma una ulteriore razionalizzazione degli spazi sarebbe auspicabile da un lato, perché permetterebbe una migliore fruizione senza sminuire una dei punti di forza di quest'evento, ossia la possibilità di contaminazione a tutti i livelli. Lasciando agli organizzatori l'arduo compito di trovare un buon compromesso, resta solo da notare che l'evoluzione dei suoni, pur riflessa nelle tante sfaccettature offerte dal programma, manca ancora di uno sguardo analitico e propositivo nei confronti degli enormi cambiamenti silenziosamente in atto sulle possibilità di produzione e distribuzione offerte dai nuovi formati. Aurelio Cianciotta