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.art 07.01.05 Suicide Solution, farla finita in un videogame. Seconda guerra mondiale: un soldato poligonale arma una bomba a mano e la lascia cadere ai suoi piedi. I suoi compagni scappano urlando ma lui rimane fermo fino all'inevitabile deflagrazione. Stacco. Una metropoli dei giorni nostri: un personaggio attende pazientemente ad un lato dal marciapiede l'arrivo di un'automobile. Al momento più opportuno si lancia in strada finendo arrotato. Ed ancora marines spaziali che sparano razzi a pochi centrimetri dalle pareti e creature fantasti abissi senza fondo. L'ultimo lavoro di Brody Condon, Suicide Solution, un artista che da anni indaga il medium videoludico è un filmato composto da una serie frammenti di sessioni di gioco che documentano il suicidio di altrettanti avatars. Lo spettatore assiste impotente da una visuale semisoggettiva a questo susseguirsi di gesti ridicoli. Ridicoli perchè la vita è tutt'altro che preziosa nel mondo dei videogiochi, la mancanza di corporeità e la rigiocabilità delle partite annulla completamente la drammaticità del gesto. L'ambiente esclusivamente performativo della arena di gioco non da spazio a psicologia e motivazioni profonde. Il suicidio videoludico diventa quindi il più puro esercizio di assurdità. Possiamo vederci un riferimento al surrealista Jacques Rigaut che si divertiva a raccontare le sue bizzarre esperienze di morte? Al di là dell'apparente banalità dell'opera dobbiamo riconoscere che la performance virtuale sta diventando una modalità espressiva a tutti gli effetti. Una sorta di body art senza corpo che abbiamo già visto in esperimenti come Battlefield Vietnam o Velvet strike e che sicuramente non mancherà di stupirci in futuro. Paolo Pedercini |