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Atomic Hooligan, You Are Here, Botchit & Scarper . breaks
Atomic Hooligan
You Are Here
<CD> Botchit & Scarper
Preceduto da un secondo 12' (con 'Head' e 'Just One More' sui due lati del vinile) finalmente arriva l'attesissimo album di debutto per la coppia formata da Matt Welch e Terry Ryan, al secolo gli Atomic Hooligan, dj e produttori in forza alla Botchit & Scarper, prestigiosa etichetta breakbeat, uno dei punti di riferimento imprescindibili in tema di ritmi spezzati (assieme a Tcr, Finger Lickin', Whole Nine Yards e Marine Parade). è un disco bellissimo ma strano che non si preoccupa affatto di confermare il luogo comune (non certo benevolo) per il quale in questo genere musicale chiamati ad uscite su largo formato spesso si rifugge dai moduli stilistici sui quali ci si è formati concedendosi quindi ad un maggior eclettismo. Per chi nelle proprie scene è già molto apprezzato (per la qualità dei remix, per abilità tecnica ed attitudine) deve sembrare un'opportunità da non lasciarsi sfuggire tentare il colpo gobbo e rivolgere suoni, capacità ed idee verso un pubblico maggiormente eterogeneo. Immagino sia quella la molla che abbia fatto scattare nella coppia la voglia di una produzione così composita, partendo con una prima traccia quasi 'progressive', psichedelica (sulla scia degli amati Chemical Brothers), inframmezzando dopo 'Head' e 'Shine A Light' con le fluttuazioni circolari di 'Who Stole Monkey's Clothes' e l'eterea 'The Birch', brevissima intro prima della rockettara 'What 'til You're Sleeping'. Pure 'Spitbal' con l'apporto vocale di Xander e Justine risulta incisione fortemente adatta a ben comparire in qualsiasi live show (e non a caso è stata ampiamente sfruttata nelle esibizioni di Glastonbury e Chibuku). Su scansioni techy ma con trattamenti particolarissimi, l'incisione successiva, 'Pump Friction', che forte di una vocalità deviante, potrebbe suggerire nuove ipotesi da esportare sulle piste. Tornano le tentazioni mainstream con 'Steel The Sun' e 'Twelve Hundred Miles' che può competere con 'Supernatural Thing' di Freeland in quanto ad appeal ed avvolgente sensualità. Si chiude con 'Just One More', sicura hit da club seguita dalla title track, ipnotico e suggestivo concentrato delle differenti influenze che ai synth  riescono a sommare i suoni molto più 'naturali' di una batteria e di un'armonica a bocca. L'ispirazione abbonda ed i risultati sono eccellenti nonostante il carosello di forme sonore che variano dal soul al funk, dall'house alla techno imbastiti però con le ritmiche ondivaghe tipicamente di taglio nu skool.
Aurelio Cianciotta