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. pop
Chemical Brothers
Come With Us
<CD> Virgin Records
È passata molta acqua sotto i ponti dalle prime mosse di Ed Simmons e Tom Robbins, dai promettenti esordi fino al successo e alla consacrazione definitiva. Non possiamo sapere, a meno di guardare in un'ipotetica sfera di cristallo, se questo album venderà tanto quanto il precedente, pur nella scientifica accuratezza dei sample e forte di un'attenzione al nuovo sempre molto viva, fattore non sempre continuo negli artisti, da un decennio a questa parte, soprattutto quando si tratta di superstar conclamate. Conservare ancora spontanea energia è una grande dote dei nostri, insieme all'acida effervescenza ed il profumo fresco del mosto novello che mal si accompagna a esiti dall'ispirazione troppo omogenea. Sarebbe facilmente alla loro portata costruire album più organici, maggiormente controllati e solidi nell'impianto dei suoni presi a modello, ma non sembra questo il loro intento, poco avvezzi, come sono i fratellini chimici, ad instaurare logiche autoriali. Nè questo lavoro, d'altro canto, ci appare come una mera collezione di singoli già preannunciati a partire dall'uscita di 'It Began in Africa'. Alternando episodi lirici a battute intense, subito da 'Come Whit Us', prima massiva traccia, ci si sintonizza sulle frequenze giuste. 'Galaxy Bounce' è implacabile col suo riff disco mentre 'Star Guitar', ultra-balearica, nell'album version non da meno dei molti riusciti remix, conquista prima di arrivare ai beat psichedelici di Hoops, seguiti in 'My Elastic Eye' da un malsano motivetto che sarebbe piaciuto al maestro Simonetti dei Goblin, colorando pian piano l'album di sfumature seventy. Queste poi affiorano più chiaramente nel folk-house di 'The State We're In' cantata con trascinata enfasi da Beth Orton. Concluderà Richard Ashcroft con 'The Test', un magnifico pezzo dai sapori Ôstoniani', degno finale per un progetto così multiforme. Solo su singolo, da non perdere, 'Base Six' una cavalcata breakbeat di rara efficacia.
Aurelio Cianciotta