. tech-house, ghetto-glichThe Soft Pink Truth
Do You Party?
<CD> Soundlike/Wide
Album di debutto per The Soft Pink Truth, ovvero Drew Daniel (in artistico menage a trois con Bevin Blecton ed M.C. Schimdt), scantonando intelligentemente fra fantasie disco anni settanta ed electrofunk, rubando scena e pattern alla migliore tech-house, interpretando con più ambigui sensi ghetto-glich la sensualità insistita hiphop/garage. Moltissime le idee in pentola, almeno due o tre validissime, che potrebbero originare nuove tendenze ma pur fra abbondanza gioiosa ed eclettica di materia questo esordio appare prova altamente omogenea, con leggerezza di trattamenti ed ispirazione a braccetto, rendendo non scollegati dal resto e convincenti ognuno degli undici brani in scaletta. La prima intuizione è data dall'uso di scansioni tech, coniugate in maniera originale con un attitudine decisamente camp, riuscendo ad affrancarsi dalla tradizione house, calcando la matrice minimale, ma con gusto svagatissimo, riferendosi senza remore ai ritmi seminali della dance '70 e del funk, creando un ibrido di alto potenziale comunicativo (ma senza arrivare a contaminazioni troppo impastate di pop). Cadenze più androgine che trasfigurano le periferie delle gang two-step o degli immaginari Miami Bass (in 'Big Booty Bitches'), azzerando in onore di Moroder lo spazio temporale che intercorre fra i Cameo e la So Solid Crew, pur fra citazioni di segno diverso, ad esempio 'Satie (Grey Corduroy Swift)', dove le suggestioni del maestro diventano dubby, in un cocktail davvero da far girare la testa. Interessante anche il video, in un bianco e nero graficissimo (nello stile dei simboli per trasferibili che si usavano prima dell'avvento dei pc), che volge infine al rosa ed al colore, in un apoteosi ironica e leggera dell'iconografia tipicamente gay. Produzione innovativa ed essenziale, davvero da non lasciarsi sfuggire.
Aurelio Cianciotta